Sul più autorevole quotidiano
economico finanziario Italiano (Il Sole 24 ore) di qualche settimana
fa, è apparso un breve trafiletto, che ha attirato la mia
attenzione. Il titolo: Se i consumatori bocciano la Gdo, sottotitolo:
modello in difficoltà. Nel suo articolo l'autore rilevava la crisi
profonda dei consumi e del suo effetto negativo esteso anche al
moderno modello distributivo: quello della grande distribuzione
organizzata ed evidenziava altresì che da un paio d'anni a questa
parte si è registrata una progressiva diminuzione della superficie
totale di vendita del settore tradottasi nella chiusura di alcuni
supermercati con lo scoppio della conseguente crisi occupazionale
collegata. Questo mi ha dato lo spunto per approfondire il tema e
grazie alla pubblicazione occasionale della Banca d'Italia nella
collana Questioni di Economia e Finanza intitolata: “La Grande distribuzione e l'industria alimentare in Italia” - marzo 2012 - ho
potuto trarre alcuni elementi utili ad inquadrare il modello di
attività commerciale. La pubblicazione comincia la trattazione
dell'argomento dall'analisi e dalla tipologia di imprese produttrici
alimentari e del loro contributo in termini occupazionali e di valore
aggiunto all'intero comparto manifatturiero dell'industria Italiana.
L'alimentare (i dati sono del 2007) rappresenta un valore aggiunto
dell' 8,9%, sul fronte occupazionale l'apporto è del 10,3% ed il
numero d'imprese sono il 13% del totale di settore. La maggior parte
di esse (il 92%) risulta essere micro o piccola impresa, composta
cioè dall'imprenditore e da 1 a 9 addetti. L'analisi prosegue
analogamente sulla distribuzione al dettaglio e segue con un focus
sugli operatori della Grande distribuzione Organizzata. Il modello
organizzativo prevede l'aggregazione in Centrali di acquisto per
avere maggiore potere negoziale con i produttori, che stilano accordi
quadro entro i cui perimetri i singoli componenti potranno poi
trattare ulteriori sconti di prezzo. Prima di analizzare la
diffusione provinciale di supermercati ed ipermercati alimentari e la
totale superficie di vendita da essi occupata sul nostro territorio,
è necessario premettere alcune definizioni (ex art. 4 D.L.vo
114/1998): prima fra tutte quella di superficie di vendita:
rappresenta l'area dell'esercizio commerciale occupata da banchi,
scaffalature e simili, sono esclusi gli uffici, i magazzini i
depositi ecc... La classificazione degli esercizi commerciali avviene
in base alle dimensioni di questa superficie: le grandi strutture di
vendita (quelle oggetto di questo post), la cui apertura per inciso è
condizionata dal parere della Conferenza dei servizi formata da
rappresentanti di Regione, Provincia e Comune; hanno una superficie
di vendita superiore a 2.500 mq se aperti in comuni con più di
10.000 abitanti, il limite scende a 1.500 mq per comuni con una
popolazione residente inferiore. La classifica dei principali
soggetti distributivi in Italia stilata su fatturato ed occupati
(dati 2010) è guidata da Carrefour con 8,4 mld € e 18 mila
lavoratori, seguita da Esselunga: 6,5 mld € il fatturato e 19.273
occupati, al terzo posto si piazza Auchan con una simile quantità di
occupati e 5,5 mld di fatturato, Coop Italia (dato aggregato) arriva
a 4,8 mld € e poco più di 20 mila impiegati. Nella nostra
provincia, quella di Monza e Brianza le Grandi strutture di vendita
nel settore alimentare (sup>2.500 mq) sono il Bennet di Brugherio
(3.851 mq), quello di Lentate (2.783 mq), il Globo di Busnago (5.736
mq) il Carrefour di Giussano (3.859 mq), quello di Limbiate (con
11.800 mq di superficie di vendita alimentare è il più grande della
provincia), gli Esselunga di Lissone (2.865 mq), Macherio (2.733 mq),
l'Iper di Monza (4.875 mq) l'Auchan (4.818 mq), il Gigante di
Villasanta (3.500 mq) e quello di Usmate Velate (2.628 mq) ed infine
le Torri Bianche di Vimercate con 3.000 mq per un totale Provinciale
di 52.448 mq di superficie di vendita di prodotti alimentari: l'equivalente di 5 campi da calcio.
L'alternativa a questo modello
d'acquisto, è rappresentata dal mercato del contadino, mutuato
dall'inglese Farmers' Market, più noto in Italia con il marchio Campagna Amica di Coldiretti, qui sono direttamente i produttori
(generalmente del territorio) che con una forma di commercio
itinerante (come per gli storici mercati di paese) propongono in
vendita generi alimentari propri, eliminando così l'intermediazione
della distribuzione.
In conclusione: lo sviluppo sociale e territoriale può essere
condizionato dal modello commerciale che noi consumatori decidiamo di
preferire e forse l'affermazione di questi grandi centri è già
l'indice di una scelta.